In condominio, in relazione alle parti comuni, è possibile che sorgano liti e contenziosi che giungano davanti all’Autorità Giudiziaria. Le liti, in realtà, non sono l’unica evenienza in cui in condominio si può ricorrere all’Autorità Giudiziaria. In questa guida scopriamo tutti i casi e le evenienze in cui le norme prevedono la possibilità di adire all’Autorità Giudiziaria nel condominio.
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Autorità Giudiziaria: liti attive e passive
Cosa sono le liti e come si definiscono? Scopriamo quale è la differenza tra liti attive e passive in ambito condominiale e quando e come interviene l’Autorità Giudiziaria.
Quando è il condominio a promuovere l’azione legale si parlerà di liti attive. Quando invece il condominio deve difendersi dalle pretese di terzi si parla di liti passive. In entrambi i casi il soggetto contraddittore del condominio potrebbe anche essere uno dei condomini.
In caso di liti attive e/o passive esistono ben precise competenze divise tra amministratore e assemblea. L’art. 1131 del codice civile recita:” Nei limiti delle attribuzioni stabilite dall’articolo precedente o dei maggiori poteri conferitigli dal regolamento di condominio o dall’assemblea, l’amministratore ha la rappresentanza dei partecipanti e può agire in giudizio sia contro i condomini sia contro i terzi.
Può essere convenuto in giudizio per qualunque azione concernente le parti comuni dell’edificio; a lui sono notificati i provvedimenti dell’autorità amministrativa che si riferiscono allo stesso oggetto. Qualora la citazione o il provvedimento abbia un contenuto che esorbita dalle attribuzioni dell’amministratore, questi è tenuto a darne senza indugio notizia all’assemblea dei condomini. L’amministratore che non adempie a quest’obbligo può essere revocato (att. 64) ed è tenuto al risarcimento dei danni”.
Liti attive e poteri dell’amministratore
Il primo comma delinea il potere dell’amministratore di agire in giudizio, in tutte quelle circostanze previste nell’art. 1130 c.c. (relativo alle attribuzioni). Per esempio l’amministratore è competente ad iniziare un’azione di danno temuto contro i confinanti (o contro gli stessi condomini) laddove sia necessario farlo a tutela degli interessi comuni. Potrà eventualmente iniziare l’azione di recupero giudiziale del credito avverso i condomini morosi.
La legittimazione ad agire è estesa a quei casi previsti dal regolamento di condominio ed a quelli in cui sia stata l’assemblea a dargli mandato. In questo caso i quorum richiesti sono: maggioranza degli intervenuti all’assemblea ed almeno 500 millesimi (art. 1136, quarto comma, c.c.).
Una volta iniziata l’azione inclusa nelle cosiddette liti attive, e fatte salve le transazioni o altre cause di estinzione della lite, si dovrà ritenere l’amministratore legittimato ad agire in tutti i gradi di giudizio.
Liti passive e limiti legittimazione
Per le liti passive l’amministratore può essere convenuto per qualunque azione concernente le parti comuni dell’edificio. Ci si è posti il problema di individuare il limite della legittimazione passiva, anche in considerazione del fatto che i commi terzo e quarto dell’art. 1131 c.c. prevedono un diverso comportamento in caso di atti esorbitanti le sue attribuzioni.
L’orientamento maggioritario della giurisprudenza della Suprema Corte di Cassazione ha interpretato estensivamente il dettato normativo affermando che “la rappresentanza processuale dell’amministratore del condominio dal alto passivo, ai sensi del secondo comma dell’art. 1131 c.c., non incontra limiti quando le domande proposte contro il condominio riguardano le parti comuni dell’edificio” (così Cass.5203 del 1986, conf. Cass. n. 8286 del 2005).
Buona norma è che ogni qual volta gli venga notificato un atto giudiziario o un provvedimento amministrativo, l’amministratore predisponga tutte le più opportune difese ma che allo stesso tempo convochi nel più breve tempo possibile un’assemblea al fine di far prendere all’assise la decisioni ritenute più opportune.
Quali sono le controversie oggetto di mediazione?
Le controversie in materia di condominio che impongono l’obbligo di mediazione riguardano le parti comuni e la destinazione d’uso delle stesse. Anche tutte le controversie relative all’amministratore (artt. 1129-1133 c.c.), alle spese fatte dal condomino senza autorizzazione dell’amministratore o dell’assemblea (art. 1134 c.c.), all’assemblea dei condomini (artt. 1135-1137 c.c.), e al regolamento di condominio (art. 1138 c.c.), nonché le questioni inerenti l’impugnazione delle delibere condominiali (art. 1137 c.c.) e la responsabilità dell’amministratore e la sua revoca.
Vanno, inoltre, fatte rientrare nella mediazione obbligatoria, le questioni inerenti le disposizioni dettate dagli artt. 61 e 62 disp. att. c.c. in tema di scioglimento del condominio e dall’art. 63 disp. att. c.c. in materia di riscossione dei contributi condominiali.
Da rilevare, infine, le disposizioni sull’amministratore (artt. 66 e 67, disp. att., c.c.), sulle tabelle millesimali (artt. 68 e 69, disp. att., c.c.), e sui regolamenti condominiali (artt. 70 e 72, disp. att., c.c.).
La mediazione si intende obbligatoria per tutti i condomini, compresi quelli minimi con soli due condomini.
Il procedimento di mediazione
Per il procedimento di mediazione per le liti condominiali valgono, in linea generale, le regole dettate dal d.lgs. n. 28/2010.
Al momento della presentazione dell’istanza, il responsabile dell’organismo di mediazione dovrà designare un professionista (mediatore), fissando l’incontro tra le parti entro e non oltre trenta giorni dal deposito dell’istanza stessa.
Se i termini di comparizione davanti all’organismo di mediazione non consentono di ottenere la delibera di legittimazione in favore dell’amministratore, è possibile ottenere (previa apposita istanza) una “proroga” della data di prima comparizione (quarto comma dell’art. 71 quater disp. att. c.c.).
Nel corso del primo incontro, spetterà al mediatore chiarire le funzioni e le modalità di svolgimento dell’istituto, invitando le parti e i loro legali (la cui partecipazione è obbligatoria ex lege), ad esprimersi sulla possibilità di dare avvio alla mediazione.
Ricorso all’Autorità giudiziaria
In caso di esito negativo del processo di mediazione, il procedimento si riterrà concluso. In questo caso è possibile adire l’autorità giudiziaria, senza alcun compenso per l’organismo di conciliazione. Invece, in caso di esito positivo, la mediazione proseguirà il suo regolare svolgimento, potendo verificarsi due ipotesi: il raggiungimento o meno dell’accordo.
Nell’ipotesi in cui si raggiunga un accordo, il mediatore redigerà apposito verbale allegando il testo dell’accordo medesimo, il quale, una volta sottoscritto anche dagli avvocati dalle parti, costituirà “titolo esecutivo”. Nell’ipotesi in cui non si pervenga ad un accordo, è compito del mediatore formulare una proposta di conciliazione, alla quale le parti, entro un termine congruo (di regola 7 giorni), dovranno rispondere, comunicando, per iscritto, la loro accettazione o il rifiuto. L’eventuale silenzio equivale al rifiuto della proposta.
Anche in tal caso, l’art. 71 quater disp. att. c.c. prevede al quinto e al sesto comma, in merito alla “proposta di mediazione” che la stessa venga approvata dall’assemblea con la maggioranza richiesta dall’art. 1136, secondo comma, c.c.. Il termine di sette giorni fissato in linea generale per l’accettazione o meno della proposta può essere derogato dallo stesso mediatore in ragione della “necessità per l’amministratore di munirsi della delibera assembleare”.
Eccesso di potere dell’amministratore
Il codice civile, all’art. 1130, primo comma, attribuisce all’amministratore una serie di compiti finalizzati alla gestione e conservazione delle parti comuni dello stabile, nonché il potere di compiere atti giuridicamente necessari per poter agire effettivamente a tutela degli interessi del condominio.
Questi atti prendono il nome di “provvedimenti dell’amministratore” che, presi nell’ambito dei suoi poteri, secondo l’art. 1133, 1° comma, c.c., nel testo lasciato inalterato dalla riforma, “sono obbligatori per i condomini”.
L’eccesso di potere si verifica quando il provvedimento è contrario alla deliberazione dell’assemblea, o va oltre la stessa oppure travalica le attribuzioni conferite ex lege all’amministratore.
In questi casi il condomino (o il gruppo di condomini) che ritenga eccessivo il provvedimento dell’amministratore ha due possibilità: il ricorso all’assemblea e/o quello all’autorità giudiziaria. Per espresso disposto dell’art. 1133, 2 comma, c.c. “contro i provvedimenti dell’amministratore è ammesso ricorso all’assemblea, senza pregiudizio del ricorso all’autorità giudiziaria nei casi e nel termine previsti dall’art. 1137”.
Ricorso all’Autorità giudiziaria
Il condomino che ritiene il provvedimento dell’amministratore illegittimo potrà ricorrere all’Autorità giudiziaria, senza previa comunicazione all’assemblea, entro trenta giorni dalla sua adozione e/o comunicazione, per sentirne dichiarare l’annullamento.
Autorità giudiziaria: decreto ingiuntivo al condomino moroso
Secondo la normativa contenuta dell’art. 1130 c.c. all’amministratore spetta il compito di “riscuotere i contributi […] per la manutenzione ordinaria delle parti comuni dell’edificio e per l’esercizio dei servizi comuni”.
Secondo il primo comma dell’art. 63 disp. att. c.c.: “Per la riscossione dei contributi in base allo stato di ripartizione approvato dall’assemblea, l’amministratore, senza bisogno di autorizzazione di questa, può ottenere un decreto di ingiunzione immediatamente esecutivo, nonostante opposizione, ed è tenuto a comunicare ai creditori non ancora soddisfatti che lo interpellino i dati dei condomini morosi”.
Ogni amministratore di condominio può dunque mettere in mora il condominio con raccomandata a.r. (questa fase non è obbligatoria) e, sulla base dell’ultimo piano di riparto approvato, ottenere un decreto ingiuntivo di pagamento, immediatamente esecutivo, contro il condomino moroso.
Il decreto ingiuntivo immediatamente esecutivo è uno strumento particolarmente incisivo, previsto ad hoc per il condominio. Serve infatti ad evitare che il pagamento ritardato delle quote condominiali incida sulla regolare conservazione della parti comuni, nonché sull’ erogazione dei servizi comuni.
Per iniziare il procedimento monitorio è necessario che l’assemblea abbia approvato un piano di ripartizione delle spese condominiali e lo stato di morosità del condomino.
Chi è il condomino moroso?
Il condomino moroso non è l’inquilino, ma il proprietario dell’appartamento che risulterà in ritardo con i pagamenti. Molte volte si agiva contro colui che effettuava i pagamenti (es. la moglie o il marito dell’effettivo proprietario) o contro il vecchio proprietario, in quanto la cessione dell’unità immobiliare non era stata comunicata all’amministratore. Le Sezioni Unite sono intervenute per dirimere il contrasto. Hanno affermato in merito che “in caso di azione giudiziale dell’amministratore del condominio per il recupero della quota di spese di competenza di una unità immobiliare di proprietà esclusiva, è passivamente legittimato il vero proprietario di detta unità e non anche chi possa apparire tale”.
Il condomino dissenziente
Ogni condomino, singolarmente considerato, può dissociarsi da una lite sia essa attiva, sia essa passiva. Può accadere infatti che di fronte alla scelta di affrontare una causa non tutti i condomini siano d’accordo. In questo caso il dissenziente separa la propria responsabilità da quella degli altri condomini in relazione all’esito della lite. Ciò significa che in caso di soccombenza del condominio egli dovrà essere tenuto esente dalla richiesta pagamento di qualsivoglia spesa riferibile alla lite.
Il secondo comma dell’art. 1132 c.c. dice che il condomino dissenziente può rivalersi sugli altri condomini in quei casi in cui abbia dovuto pagare alla parte vittoriosa. Si tratta, evidentemente, di una norma posta a tutela del condomino che si sia visto costretto a pagare in favore della controparte.
Il codice civile per questa specifica situazione, all’art. 1132, prevede che “Qualora l’assemblea dei condomini abbia deliberato di promuovere una lite o di resistere a una domanda, il condomino dissenziente, con atto notificato all’amministratore, può separare la propria responsabilità in ordine alle conseguenze della lite per il caso di soccombenza. L’atto deve essere notificato entro trenta giorni da quello in cui il condomino ha avuto notizia della deliberazione.
Il condomino dissenziente ha diritto di rivalsa per ciò che abbia dovuto pagare alla parte vittoriosa. Se l’esito della lite è stato favorevole al condominio, il condomino dissenziente che ne abbia tratto vantaggio è tenuto a concorrere nelle spese del giudizio che non sia stato possibile ripetere dalla parte soccombente”.
Nel caso in cui la lite, da cui il condomino si sia dissociato, abbia esito favorevole al condominio, il dissenziente, che ha tratto vantaggio dall’esito favorevole della controversia, sarà tenuto a contribuire a quella parte che non sia stato possibile recuperare dalla parte soccombente.
Autorità giudiziaria: l’impugnazione delle delibere condominiali
Ogni deliberazione assembleare deve avere determinati requisiti per essere considerata valida. L’art. 1137, secondo e terzo comma, c.c. recita: “Contro le deliberazioni contrarie alla legge o al regolamento di condominio ogni condomino assente, dissenziente o astenuto può adire l’autorità giudiziaria chiedendone l’annullamento nel termine perentorio di trenta giorni, che decorre dalla data della deliberazione per i dissenzienti o astenuti e dalla data di comunicazione della deliberazione per gli assenti.
L’azione di annullamento non sospende l’esecuzione della deliberazione, salvo che la sospensione sia ordinata dall’autorità giudiziaria.
L’istanza per ottenere la sospensione proposta prima dell’inizio della causa di merito non sospende né interrompe il termine per la proposizione dell’impugnazione della deliberazione. Per quanto non espressamente previsto, la sospensione è disciplinata dalle norme di cui al libro IV, titolo I, capo III, sezione I, con l’esclusione dell’articolo 669-octies, sesto comma, del codice di procedura civile.
Il codice civile parla semplicemente di deliberazioni contrarie alla legge o al regolamento di condominio e ne richiede l’impugnazione tempestiva (entro 30 giorni). Dottrina e giurisprudenza, nel corso del tempo, hanno ritenuto applicabile all’invalidità delle delibere anche i concetti di nullità e annullabilità.
Il confine tra nullità e annullabilità
Ora, mentre una delibera nulla è impugnabile in ogni nomento, da chiunque ne abbia interesse e non è suscettibile di produrre effetti giuridici, una deliberazione annullabile deve essere impugnata nei tempi previsti dall’articolo 1137 c.c. Come conseguenza di questa classificazione si è generata una disputa a livello giurisprudenziale circa i vizi di nullità o annullabilità.
La questione è stata risolta dalle Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione nel 2005. Con la sentenza n. 4806, infatti, si è affermato che sono da “qualificarsi nulle le delibere prive degli elementi essenziali, le delibere con oggetto impossibile o illecito (contrario all’ordine pubblico, alla morale o al buon costume), le delibere con oggetto che non rientra nella competenza dell’assemblea, le delibere che incidono sui diritti individuali sulle cose o servizi comuni o sulla proprietà esclusiva di ognuno dei condomini, le delibere comunque invalide in relazione all’oggetto”.
Di contro, sono da “qualificarsi annullabili le delibere con vizi relativi alla regolare costituzione dell’assemblea, quelle adottate con maggioranza inferiore a quella prescritta dalla legge o dal regolamento condominiale, quelle affette da vizi formali, in violazione di prescrizioni legali, convenzionali, regolamentari, attinenti al procedimento di convocazione o di informazione dell’assemblea, quelle genericamente affette da irregolarità’ nel procedimento di convocazione, quelle che violano norme che richiedono qualificate maggioranze in relazione all’oggetto” (così Cass. SS.UU. n. 4806 del 2005).
Una delibera nulla può quindi essere impugnata in ogni tempo, quella annullabile entro 30 giorni, che per i dissenzienti decorrono dallo svolgimento dell’assemblea e per gli assenti dalla comunicazione dello svolgimento stessa. Per non incappare in decadenze dovuti a possibili mutamenti d’indirizzo giurisprudenziale, vale la pena impugnare qualsiasi deliberazione entro i 30 giorni di cui al terzo comma dell’art. 1137 c.c.
Autorità giudiziaria: le controversie oggetto della mediazione
L’art. 71 disp. att. c.c. chiarisce, al primo comma, cosa debba intendersi per controversie “in materia di condominio” cui fa riferimento il citato d.lgs. n. 28/2010, offrendo una nozione ampia che ricomprende, oltre a tutto il capo II del titolo VII del libro III, anche gli artt. 61-72 delle disposizioni attuative del codice civile.
Consulenza e assistenza ONA per amianto
L’amministratore di condominio è responsabile per il rischio amianto nel condominio (info su obblighi dell’amministratore rispetto al rischio amianto e su Superbonus 110% per la rimozione di amianto nel condominio.
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